Tucidide l’Ateniese non ha bisogno di presentazioni: padre di molte discipline, è forse il più influente fra gli autori di tutto il mondo antico.
Nel libro I delle sue Storie, Tucidide fa intervenire i Corinzi, motore nascosto della guerra del Peloponneso, quasi come il coro di una tragedia.
Alcune sentenze, incastonate come gemme lucenti nei lunghi discorsi di guerra, illuminano il lettore non soltanto sulla storia dei greci ma ancor di più sulla natura della civiltà umana.
Thucydides the Athenian have no need of introduction. He’s father of multiples disciplines and probably the most influent author of the ancient world.
In book I of his Histories, Thucydides makes the Corinthians, hidden motor of the Peloponnesian War, speaking as the chorus of a Tragedy.
Some sentence, nested as bright gems inside the long war speeches, enlighten readers not only about greek history but even more about human civilization.
Th. I.69.1
[…] οὐ γὰρ ὁ δουλωσάμενος, ἀλλ᾽ ὁ δυνάμενος μὲν παῦσαι περιορῶν δὲ ἀληθέστερον αὐτὸ δρᾷ, εἴπερ καὶ τὴν ἀξίωσιν τῆς ἀρετῆς ὡς ἐλευθερῶν τὴν Ἑλλάδα φέρεται.
Chi veramente priva della libertà non è chi ha soggiogato un altro, ma chi è in grado di mettere fine alla schiavitù e non se ne cura, anche se gode della reputazione di virtù come liberatore di tutta la Grecia.
[Traduzione di Guido Donini]
For the true author of the subjugation of a people is not so much the immediate agent, as the power which permits it having the means to prevent it; particularly if that power aspires to the glory of being the liberator of Hellas.
[Translated by J. M. Dent]
Seguendo il filo logico della frase dovremmo dedurre una conclusione apparentemente contraddittoria, e cioè che la privazione della libertà di per sé non rappresenta una privazione della libertà. Come dire A non è uguale ad A.
O forse, interpretandolo, il messaggio di Tucidide vuole dirci che l’atto di “privare della libertà” implica la volontà precisa di farlo. Ma anche così incappiamo in delle aporie, perché arriveremmo a concludere che nei casi specifici in cui ci è inevitabile (per la nostra vita) soggiogare qualcuno o qualcosa, quindi nei casi in cui soggioghiamo non per volontà ma per necessità, questa azione non possa essere descritta come privazione di libertà.
Tuttavia, il senso mi risulta più chiaro se contestualizzo la frase. A parlare sono i Corinzi contro gli Spartani, accusati per il loro lassismo nei confronti dell’operare degli Ateniesi i quali, come si legge di seguito, “avanzano contro i loro vicini” e li “attaccano a poco a poco”. In sede assembleare, una dichiarazione del genere mira esclusivamente ad accendere gli animi (come pare sia poi successo, del resto), rinfocolando gli asti fra Ateniesi e Spartani. E’ possibile quindi che la frase rappresenti una sorta di iperbole?
Si tratta naturalmente di un’espressione provocatoria. Tucidide risente fortemente dei modelli retorici su cui si è formato e quando ne è conscio gioca spesso con la tecnica oratoria.
Più che in un’iperbole (almeno retoricamente parlando), la sentenza consiste proprio in un paradosso giocato su uno dei temi maestri del libro I (e in parte anche del resto delle Storie), ovvero il mito di “Sparta liberatrice”.
Bisogna tuttavia fare attenzione quando si affronta il concetto di “libertà” nell’ottica greca. Si tratta di un tema estremamente dibattuto (e anche ferocemente in alcuni casi) su cui si sono sviluppate numerose scuole di pensiero. Ciò che senz’altro Tucidide interpreta benissimo in questa sentenza è il sentimento diffuso in quel momento storico secondo cui la libertà spetta solo a chi può permettersela.
“Chi veramente priva della libertà non è chi ha soggiogato un altro, ma chi è in grado di mettere fine alla schiavitù
e non se ne cura…”
Tucidide dice bene. Secondo me egli considera ancora più responsabili gli ignavi dei dittatori
che sono i responsabili diretti della sottomissione di un popolo.Egli condanna i vili coloro i quali non fanno niente per liberare i popoli dalla schiavitù , vedi i politici dei giorni nostri,
Ma la libertà a cui anela il grande storico e militare ateniese, è una libertà ancora più completa più ampia,
egli non vuole solo la libertà dalle catene fisiche ma sopratutto da quelle psicologiche,
ed ecco perché, secondo me , nella sua frase non c’è doppiezza, non è provocatoria in modo apparente ma chiaramente. E’ un rimprovero severo per tutta la classe dirigente dell’epoca, considerando il contesto storico e delicato politicamente vista la grave situazione
fra le due superpotenze Sparta e Atene.