Secondo capitolo di Crete

 

…era di stelle ubriaca la terra.

Raya al-Zahra

 

Brizio cresceva in compagnia della fagiana, che aveva abbandonato Filippo per il suo nuovo compagno.
In vero, era stato Filippo, che di stare fermo non aveva voglia, a partire per altri lidi, e da qualche anno ormai il solo segno del suo essere in vita, erano le casse di spezie inviate al fratello Pietro.
Lettere accompagnavano le casse, con minuziosi resoconti degli usi di erbe e polveri presso le popolazioni locali, ricette, metodi di preparazione di unguenti e medicine.
Poco avvezzo al romanticismo, o piuttosto, poco incline alla sua pubblica ostentazione, aveva uno stile secco e tecnico, memore di categorie aristoteliche.
Di ciò non si rammaricava l’istrionico Pietro che non perdeva occasione per tessere nuove storie e disegnare nuovi confini, ispirato dai colori e dai profumi di cui la sua bottega era intrisa.
Colori e profumi a cui Brizio non era indifferente, e la cui attrazione cresceva al ritmo dei sui ricci bruni.
La città sudava di eccitazione, e non solo metaforicamente. La festa in celebrazione della protettrice si avvicinava spedita attraverso i febbrili preparativi ed il formicolio delle vie.
Mezz’Agosto, assunzione della vergine, risurrezione e catarsi collettiva, il rito si ripeteva immutato.
Pietro, Eleonora ed il figlioletto Brizio si prepararono anch’essi all’evento, le spezie lasciate per qualche giorno a deliziare se stesse nel chiuso della bottega.
La fagiana, di indole curiosissima, si attaccò a Brizio, e con occhi spalancati e moine, come solo le femmine di fagiana sanno fare, ebbe la meglio sul divieto di Pietro di portarla in giro in quel religioso caos.
Un sottile collare rosso sgargiante venne messo al collo dell’uccello, che normalmente restio alla sottomissione, si lasciava guidare senza aprir becco.
La folla era già fitta e il vociare confuso e continuo.
In lontananza al centro della piazza una figura si ergeva su tutti, vestita di bianco ed azzurro, sgargiante di luce, immersa nella luce del pomeriggio d’agosto.
La città tutta si muoveva lenta, ubriaca del mistico dondolare dei raggi solari sul corpo della vergine. Un dolce profumo, insistente, intenso perforava la pelle, amplificando la sbronza, e mettendo a dura prova l’equilibrio dei più deboli.
Un profumo di fiori che non aveva mai sentito, olio ardente in piccoli calici, scivolava e si scontrava con quelli familiari di incenso, frutta secca tostata, dolciumi e miele.
Brizio chiuse gli occhi per quel che sembrò un momento in cui il tempo si sorprese a dilatare le proprie maglie fino a rompersi. In cui i secondi si sfilacciarono in mille capi, ognuno di un colore diverso, di sfumature quasi solo immaginabili. In cui si sparse nell’etere quel penetrante profumo, a grappoli di sensazioni.
Intorno la pressione della folla, i suoni scomposti, si erano attutiti sino a divenire un uniforme brusio, i profumi un soffice soffio isotropo.
Il mondo dentro e fuori si mescolarono come crema pulsante in un calderone immenso, cangiando di continuo nello spettro del visibile e dell’invisibile, bolle esplosero liberando fragranze della durata di un battito cardiaco fino al prossimo battito e ad un nuovo infinitesimo passaggio di ombre.
Ed ogni colore assunse un sapore, ogni sapore un ritmo, contrappunto, sibilo.
Quanto si perse a galleggiare, quanti secondi o ere geologiche sopraffecero la sua coscienza difficile da sapere.
Solo la fagiana si accorse dello strano stato in cui era d’improvviso caduto e lo cominciò a beccare alle gambe.
L’insistenza delle beccate riuscì a destare Brizio, e a riportarlo alla non minore meraviglia della festa.
Un solo momento impazzito, di cui Brizio non aveva mai avuto esperienza e che lo avrebbe accompagnato da lì a venire.
Cosa avesse iniziato, catalizzato, alimentato quel fuoco, forse quel misterioso profumo emanato dalla statua, quelle minuscole candide stelle che inebriarono l’aria, dolci fino alla nausea.
Quale raggio di sole bruciò l’ordine delle cose in una cenere di assoluto?

 

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