Quarto capitolo di Crete

Cambiano i petali
colori e odori
resta il mio cuore
quel che è stato.

Ichuu Kyozen

 

In una sera d’Ottobre inoltrato, attraversata la nebbia che aveva preso il posto delle strade, Brizio entrò nella bottega di Zenone Caffaro, altrimenti conosciuto come Stramonio.
Causa epifenomeno mimetico o osmosi etimologica, si distingueva quest’ultimo per l’amore dei paradossi, al pari dell’illustre eleata, e per la poca inclinazione ad atti di fede, come il cognome suggerisce a conoscitore d’idioma moro.
L’isola della triscele gli diede i natali, e con essi un senso profondo del divenire.
La Montagna, sulle cui membra era vissuto per anni, poteva sembrare ai più uno statico pachiderma sonnolento, perfetta sfera parmenidea.
Poteva apparire come un granito inscalfito ed inscalfibile, solleticato da acque e venti e fuochi per niente fatui.
A filosofo distratto o marinaio indaffarato, poteva indurre pensieri di immobilità ontologiche, immutabili essenze, immote trascendenze.
L’osservatore familiare sentiva, invece, senza molto sforzo dei sensi, la duttile carne del vulcano, che scosso fuori e dentro da intemperanze e furori, adattava le sue forme per resistere; continue mutazioni impercettibili in una parvenza di perenne stasi.
Così imparò Zenone la mutevolezza, l’adattamento, l’impermanenza e dimenticò l’assoluto.
Maturò la sua cultura in strade, porti, chiese e bettole. Amava il vino della sua terra, e di tutte le altre terre al dire il vero, con preferenza per i rossi aciduli e corposi.
Dall’isola era partito, e mai più fatto ritorno. Orvieto, la patria che il caso gli aveva assegnato, non aveva mai del tutto riempito quel vuoto, colmato quella scatola in fondo all’esofago, in cui il delicato seme dell’essere rimbalza di parete in parete.
Era conosciuto in paese per la sua condotta poco ortodossa, perdonatagli dai più bigotti in rispetto dei santi e madonne generati dai suoi pennelli.
Brizio oltrepassò l’uscio in punta di piedi e bussò alla porta con le nocche timide. Zenone, seduto in una vecchia poltrona sformata, a lato un tazza fumante, era intento a disegnare con gesti minuti ed attenti su un grande foglio.
“Cchi Camurria! Ora ho perso il filo! Dai, entra!”. Disse secco al giovane.
“Mi dispiace, signore, non volevo interromperla”. Rispose Brizio.
“Ormai lo hai fatto, ricomincerò da capo più tardi. In cosa posso esserti utile, giovinetto?”, addolcendo il tono improvvisamente.
“Prima di dirle perché sono qui vorrei sapere cosa stava disegnando!”
“Siamo già ai ricatti!…Ecco, guarda”, e volse la pagina verso Brizio.
Il foglio era ricoperto di figure geometriche che si ripetevano, sovrapponevano ed incastravano, ricami sulla pagina che confondevano il cervello creando nuove strutture, che l’occhio si immaginava infinite.
Brizio non poté non seguire il diramarsi delle linee, si focalizzò su una e la rincorse cercando di non perdersi tra gli incroci e le curve, per carpirne il senso di quel cammino indiretto verso opposti fini.
“Si, anche io ne rimasi incantato la prima volta che li vidi dalle mie parti, questi disegni. Quelli che vidi io non erano solo disegni, ma finestre, volte, colonne…”.
“Tutte con forme così complicate?”
“Anche di più! Sai queste forme non sono poi così complesse. Devi cercare il nucleo, isolare quel pezzetto che ripetuto all’infinito crea mosaici regolari ma da perderci la testa”.
“Ci stavo provando, ho seguito una linea ma mi sono perso quasi subito…”
“A chi lo dici, ho sbattuto il muso tante volte all’intersezione tra linee. Cerca invece di non focalizzarti, allarga lo sguardo e lascia che i tuoi occhi si abituino. Ti si paleserà all’improvviso la struttur…ma lasciamo perdere…Piuttosto che ci fai qui, a quest’ora poi, quanti anni hai 13, 14?
“13 e mezzo!! E sono venuto per un motivo semplice, voglio diventare un pittore!”
“Un pittore? Per dipingere cosa? Madonne e Santi ancora? Come se le mura delle chiese non fossero già imbrattate abbastanza!”
“Mica esistono solo le chiese…”
“No, ma qualcuno ti deve pur pagare e gli unici che si possono permettere di pagare le amano tanto le madonne e i santi, fidati.”
“Non mi importa, dipingerò quel che mi viene chiesto, ma qualcuno mi deve insegnare.”
“Ed hai pensato che un vecchio ubriacone come me faccia al caso tuo. Che coraggio!”, ironicamente si schermì Zenone. “Forse non sai bene a cosa vai incontro, dipingere è anche sporcarsi le mani, restare ore ed ore a lume di candela a ritoccare dettagli, con la schiena piegata e le ginocchia che scricchiolano. I colori non vengono mai gli stessi, le figure si contorcono con l’umidità, le mura sono sempre più storte di quanto non sembrino…Ti ho spaventato abbastanza?”, rise di gusto.
Brizio si unì allo scoppio di ilarità. Non ci aveva mai pensato a dire il vero, sconnettendo le opere che aveva visto dalla loro stessa realizzazione, come se fossero apparse con uno schiocco di dita del pittore. Ma non poteva certo darla vinta a Zenone.
“No per niente, anzi quando cominciamo?”. Rilanciò Brizio, eccitato ed impaurito.

 

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