In vista del temutissimo ritorno Roma-Liverpool, propongo alcune considerazioni sul gioco tratte dal capitale Homo ludens dello storico Johan Huizinga.

“Lo sviluppo dello sport dall’ultimo quarto dell’Ottocento in qua, promuove il fatto che il gioco viene preso sempre più sul serio. […] Con la sempre crescente sistemazione e col disciplinamento del gioco, va perduto alla lunga qualche cosa della pura qualità ludica. […] A poco a poco nella società moderna lo sport si allontana dalla pura sfera del gioco, e diventa un elemento sui generis, non più gioco, ma nemmeno serietà.
[…] Nelle culture arcaiche le gare rientravano nelle feste sacrali. Erano indispensabili come operazioni sacre e santificanti. Questo nesso col culto è andato completamente perduto nello sport moderno. Il quale è ormai decisamente non consacrato e non ha neppure un rapporto organico con la struttura della società, neppure se un’autorità statale ne prescrive la pratica. Lo sport è assai più una manifestazione indipendente d’istinti agonali che un fattore di fertile coscienza sociale. […] Pur essendo importantissimo per partecipanti e spettatori, esso rimane una funzione sterile in cui è morto in gran parte il tradizionale fattore ludico. […] Il gioco è diventato piuttosto una serietà da cui è svanita più o meno ogni disposizione ludica.
Cercando di avanzare una possibile spiegazione, probabilmente nelle passate società militari e guerresche, dove la fisicità e la lotta per la vita era dominante, il gioco aveva l’obiettivo di stemperare i contrasti e rilassarli, quindi poteva realmente essere ludos. Nella nostra società (parlo ovviamente dell’Occidente industrializzato), dove la fisicità e il militarismo (con tutte le sue ragioni eroiche) sono tramontati, o meglio occultati, il gioco è diventato la riproduzione in piccolo della guerra? La simulazione “in provetta” del conflitto e dello scontro? È un caso che i tifosi sono carichi di valori militari, tendono alla faziosità violenta o, nel migliore dei casi, ad innocui ma accesi campanilismi?
Sarebbe inoltre interessante indagare l’altra faccia della medaglia, che convive paradossalmente con la prima, ovvero quello che sempre Huizinga chiama “puerilismo”, cioè la trasformazione dell’intera nostra vita in un grande (apparente) gioco. È comune sentir parlare bene di qualcuno perché “si è messo in gioco”, “si prende in giro” o “non si prende troppo sul serio”. E qui gli esempi sarebbero molti di quelle attività in cui “l’uomo moderno, sembra comportarsi secondo le norme della pubertà o dell’adolescenza”. Norme che per Huizinga non hanno nulla a che fare con il vero spirito ludico che invece prevede il rispetto delle regole del gioco: “un bambino che gioca non è puerile”.
Oggi un professore troppo severo viene “ridimensionato” dai genitori (a volte dagli alunni stessi, come sappiamo) mentre nessuno si stranisce che il papa stia lì a mandare tweet come un ragazzino. Il senso che qualcosa si sia invertito è evidente.