L’accoglienza calorosa che gli albanesi ci hanno riservato in quanto turisti e in quanto italiani, mi ha indotto ad essere ipocrita; alla domanda “allora come vi sembra l’Albania?”, la risposta è stata un abbozzo di sorriso seguito da “ne abbiamo ancora visto troppo poco per dare un giudizio”. È probabilmente sei giorni passati in una terra che non si conosce, sono effettivamente troppo pochi per giudicare, soprattutto per dare un giudizio oggettivo. Ma sicuramente non sono pochi per parlarvi delle mie impressioni, impressioni che potrebbero cambiare o cristallizzarsi in seguito ad una permanenza più lunga.

Panoramica_Scutari
Vista sul lago e sulla città di Scutari

Come spesso succede, le impressioni mattutine indirizzano le azioni e i pensieri del resto della giornata. Non è mai semplice astrarsi dal germe d’idea originario e sviluppare la propria critica essendo continuamente una tabula rasa. Forse non è neppure corretto. E così le idee che mi sono fatto al mio ingresso in Albania non hanno fatto che irrobustirsi, prendere sempre più corpo, passare dallo stato di impressioni a quello di immagini.

Ho attraversato (insieme ad una compagine fraterna) l’Albania, da nord a sud, in bici, dalla frontiera con il Montenegro costeggiando il lago di Scutari fino alla frontiera con la Grecia passando per i resti archeologici di Butrinto. In mezzo, ho attraversato alcune fra le principali città albanesi: Scutari, Tirana, Berat, Valona e Saranda. Viaggiare in bici mi ha dato la possibilità d’impregnarmi d’Albania. Mi ha obbligato a vivere i bazar turco-cinesi delle periferie cittadine, le strade, quelle asfaltate e quelle pezzate, quelle sterrate e quelle pietrose. pecore_macchina_albaniaMi ha costretto a subire il traffico molesto e i gas di scappamento di Mercedes vecchie di 30 anni. Ma mi ha pure permesso di tessere sguardi con vecchie donne in attesa di vivere o con vacche migranti al bordo della strada.

 

È strano vivere con i propri occhi ciò che fino a quel momento è stato solo immaginato. E molte nuove immagini mi restano dell’Albania. Immagini di sobborghi cittadini, dove tutti, uomini ed auto, si muovono cercando forse di sfuggire alla trascuratezza che li circonda. Di uomini premurosi di ostentare le loro automobili, dando gas e frenando pochi metri dopo. Di binari arrugginiti, trompe l’oeil di una società purtroppo ferma nel passato. Di un’economia fondata sull’automobile (tra lavazho e gomisteri) e sul suo culto. Di ragazzini felici di accogliere il tuo passaggio con hello e incitamenti vari.

Da questo viaggio porterò pure i colori delle spiagge massicciamente colonizzate del sud dell’Albania. La sicurezza di Maja e Cikës (monte Cika) che affronta lo stresso d’Otranto e la serenità con cui vive il monte Tomorr nel centro della sua terra.

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Maja e Cikës

Un paese che non è fatto per un turista in cerca di un facile bello. Un paese crudo, generoso, autentico più nel male che nel bene. Un paese che non sembra fiero di sé stesso, un paese che vorrebbe rinnovarsi ma che probabilmente non ne ha ancora i mezzi. Un popolo che solo a sprazzi ha deciso di ricordare il proprio passato, che forse considera vecchiume e non ricchezza la propria memoria storica.

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Monumento equestre di Giorgio Castriota Scanderbeg nell’omonima piazza a Tirana