- Buongiorno!
- Buongiorno, come va?
- Bene, grazie; in questi giorni abbiamo allora pensato un po’ a quell’opportunità di collaborazione…
- Ottimo! Avete un esempio applicativo pratico?
- Si, ci sarebbe un’interessante applicazione da automatizzare qui nel nostro stabilimento. Servirebbe a risolvere e rendere più efficiente la procedura di macellazione. Non so quanta dimestichezza abbiate con la macellazione..
- Beh non molta; a dire il vero, io sono pure vegetariano…
- Ah, capisco… vabbè spiego a grandi linee, magari poi possiamo organizzare una visita in produzione.
- Sì perché no? Sarebbe proprio un’ottima idea!
- Dunque, fondamentalmente il processo adesso è svolta in maniera completamente manuale, l’operatore prende il pollo per le zampe e lo appende ad un gancio. E’ importante che siano vivi perché quelli morti vengono scartati ed eliminati prima; per evitare che schiamazzino troppo vengono storditi facendoli passare da quella che noi chiamiamo camera a gas, in più si cerca di tenere le luci basse per non farli svegliare troppo. Il buio li rincoglionisce ulteriormente.
Una volta appesi al gancio vengono trasportati attraverso un nastro trasportatore alla seconda fase dove saranno successivamente uccisi, spennati, squartati, puliti, ecc., ecc.
Più o meno siamo sui 1200 polli all’ora per operatore.
10 operatori lavorano contemporaneamente in turni da 6 ore e mezzo.
Circa 75000 polli a turno.
Ci sono grossi margini di applicabilità, il processo al momento è tutto manuale e gli stabilimenti in giro per il mondo sono molti.
Se si riuscisse a trovare una soluzione robotica potreste piazzarne tante di celle! Che ne pensa? - Cerco di riavermi, di non farmi troppe domande, di non mostrami troppo critico ma rispondo titubante:
Sì interessante, è un po’ sfidante ma si ci può provare, teniamoci in contatto così valutiamo internamente. - Arrivederci e a presto!
- Arrivederci!
…
Riattacco la cornetta (virtuale, ‘che di una call al pc si trattava).
Sono spiazzato, confuso. Non è certo la prima volta che non mi trovo poi così a mio agio con scelte da prendere nel mio contesto lavorativo.
Anzi è praticamente da sempre che vivo questa contradizione latente tra i miei principi, la mia etica e un ruolo professionale, una società (nel senso lato del termine), che invece me ne pone e impone ben altri.
Cerco pure di minimizzare, mi dico, in fondo il problema non è tanto chi appende al gancio i polli ma soprattutto chi li mangia.
E poi anche senza robot i polli vengono uccisi ugualmente e la catena produttiva non si interrompe di certo. Anzi, con qualche robot in più le condizioni di quei lavoratori potrebbe essere migliorate (quantomeno per loro, non certo per i poveri polli).
Si tutto vero, forse.
Eppure la faccia ammiccante, quasi spensierata di Adolf Eichmann mi accompagna per il tutto il resto della giornata e pure i giorni a seguire.
Non riesco proprio a staccarmelo di dosso, il suo ghigno a metà tra il diabolico e l’angelico si infiltra nei miei pensieri quasi permanentemente pure se adesso non penso più ai polli, ma magari solo al prossimo appuntamento o alla zuppa di lenticchie che mi preparerò per cena.
Vabbè lo so, forse sto esagerando, da qui all’Olocausto il passo è un po’ lungo.
Però in fondo l’assoluta banalità del male è forse più una condizione dell’anima, una connotazione del nostro modo di stare al mondo indipendentemente se a morire siano ebrei, polli, formiche, ghiacciai o foreste pluviali. Ci allontaniamo sempre più tra le nostre azioni e i loro effetti.
Non ci facciamo più domande, eseguiamo gli ordini come automi, rinchiusi nel nostro mondo piccolissimo, atomico, la nostra cella di una prigione che giorno dopo giorno siamo noi a costruirci con i mattoni formati
dalla nostra stessa accidia e dal nostro stesso egoismo.

Il terzo principio della dinamica dice che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria
Ormai è un concetto a cui nessuno fa più caso.
Non ci fa caso chi accelera a tutto gas per i viali di una città sempre più tossica o chi beve finta acqua confezionata in bottiglia e nuota in oceani di plastica, chi consuma chilogrammi di carne invocando un’atavica onnivora necessità (mi chiedo perché abbia abbandonato le caverne allora)
chi attacca, coloro che hanno un colore, un sesso, un credo diverso dal proprio respingendo ogni senso di solidarietà ed empatia solo per aprioristico, sterile senso di appartenenza.
La nostra coscienza critica ridotta ad uno sciocco equilibrio di compromessi, intenti a portare a casa la giornata, soggiogati da mille incombenze, da mille scuse e giustificazioni.
E intanto, il sonno della ragione genera nuovi Adolf Eichmann.

Trovo avvilente la “guerra fra poveri” (passami il termine) che si innesca fra vegetariani e non vegetariani, fra chi compra su amazon e chi no, fra chi va in bici e chi no, fra chi usa i social e chi no. Ed è anche commovente che gli uomini possano credere che siano i nostri atteggiamenti e le nostre scelte morali a plasmare i mercati, quando è palese che avviene esattamente il contrario. La moralità declinata in chiave individuale è l’estremo successo del capitalismo, il cui modello mortifero è talmente ubiquitario da camuffarsi in sistema naturale (Deus absconditus), al punto che tutte le conseguenze etiche da lui aperte, in sua assenza, ci pesano sulla coscienza. Ivan Karamazov, di fronte all’assenza di Dio, viene sommerso dall’angoscia del bene e del male.
Prima ancora che vengano uccisi, mi sconvolge l’enorme produzione di polli, per restare al tuo esempio. Uccidere dei polli è un gesto rapido, farli crescere lo è meno, per quanto possa essere velocizzato. Mi chiedo se sia naturale che in un turno arrivino 75.000 polli. Il problema non è quindi ucciderli, ma averli fatti nascere. Tutto questo c’entra poco con l’essere onnivori o meno. L’uomo è onnivoro e lo sarà per sempre. Non è una questione di civiltà o di morale. Il problema è la gestione tecnica della vita, costretta all’interno di un sistema profondamente malato.
In un recente libro che ho appena finito di leggere, ‘Dominio’ di Marco D’Eramo, ho trovato un interessante spunto di riflessione sul modello capitalista. Anche lui prende in aiuto la termodinamica, non il terzo ma il secondo principio. Il capitalismo produce senza tenere conto dell’irreversibilità, è un sistema al di sopra delle proprie possibilità, non adesso, ma da sempre. Trovo che il tema dell’irreversibilità, sia in termini ambientali che in termini di salute del singolo, rappresenti un punto fondamentale nella critica al capitalismo.
Credo che sia una semplificazione eccessiva dire che è palese che i mercati plasmano i nostri atteggiamenti. Non è palese neppure un principio semplice come il terzo principio della dinamica, figurati un problema sociologico-economico come quello di cui hai parlato nel tuo commento.
Hai ragione, è una semplificazione, ma non è poi una verità così misteriosa che il mercato plasmi i suoi consumatori per espandere i suoi “spazi vitali”. Per semplificare ulteriormente: nel ’43 in Sicilia, insieme agli americani sbarcarono sigarette, chewing gum e “sciumi di coca cola” (cit,)
L’uomo nasce (forse) onnivoro ma ciò non esclude che nella sua continua evoluzione questa caratteristica possa subire un mutamento; così come non abitiamo più in caverne umide e abbiamo imparato a cuocere il cibo per migliorarne sapore e ucciderne i germi non è detto che in futuro una transizione vegetariana non posso essere possibile nonché auspicabile: il ‘per sempre’ di cui parli mi sembra una forzatura aprioristica o di convenienza…D’altronde ‘Non c’è niente che sia per sempre’ come cantavano gli Afterhours’ 😀
Ti consiglio un interessante libro chiamato ‘il dilemma dell’onnivoro’ di Pollan che offre spunti molto costruttivi su queste tematiche.
Sul secondo principio della termodinamica poi c’è una letteratura molto vasta che va da Georgescu-Roetgen, passando per Ilich e Latouche e i moderni sostenitori della bioeconomia e decrescita con cui il mio pensiero è molto affine, in estrema sintesi: risorse infinite non esistono in un sistema infinito…
Tu ravvisi inoltre un intento morale che nella mia visione è innanzitutto sociale, politico, ambientale. Il mio ragionamento poi, pur partendo da un episodio legato all’allevamento intensivo, vorrebbe essere una riflessione più generale, rivolta verso quella coscienza critica sempre più latente nell’individuo moderno (se mai è stata presente in quello antico). Il capitalismo trae forza e sopravvivenza da una massa di consumatori non (o poco) pensanti, ma i consumatori, in ultima istanza, siamo noi individui che, oggi più di ieri, con tutti gli strumenti a disposizione è molto arduo definire inconsapevoli. E anche nella scelta di mangiare o meno un pollo, o un certo tipo di pollo, c’è una precisa scelta politica, un’infinitesima, ma pur sempre residua, parte di responsabilità.
Quello che volevo evitare, ma ho di certo usato le parole sbagliate, era proprio di entrare nel dibattito pro/contro, quanto semmai di disinnescarlo (senza riuscirci). Io credo infatti che tanto “l’onnivorista” quanto il vegetariano stiano dalla stessa parte, ma non sanno di esserlo.
E’ lodevole andare in bici piuttosto che in auto (potendolo fare), mangiare seitan piuttosto che pollo (potendolo fare), eccetera eccetera. E non dico che, specie se declinato in chiave politica, questo approccio sia futile. Non lo vedo però come l’approccio corretto. Il problema è che non posso pensarmi io sbagliato quando è il modello ad esserlo. Diventa un modo per distogliere lo sguardo dal vero problema e sfiancare le nostre energie, dividendoci in mille rivoli, e creando false categorie valoriali. Seguendo questo principio e portandolo all’estremo, un domani, in un mondo sempre più sovrappopolato, diventerà immorale fare più di (n) figli, esempio non tanto lontano dalla realtà del resto, se pensiamo alla Cina e ai suoi crediti sociali. Non credo che basti passare da un prodotto all’altro, occorre sovvertire le regole del gioco. Quanto avvenuto al marchio BIO, nato con forti valenze politiche e ormai assorbito dal capitalismo, mi sembra emblematico.
Il mio discorso non mira quindi a deresponsabilizzare il singolo, come può sembrare in prima battuta, quanto a fargli acquisire una responsabilità ancora più ampia, perché più critica e più collettiva, cercando di mettere a fuoco la luna e non le tante dita che la indicano.
Grazie per i consigli di lettura! 😉
Certo, dal ‘divide et impera’ trae giovamento l’imperatore non certo i sudditi. Il nocciolo del mio intervento infatti non era incentrato nel creare sterili fazioni o contrasti, ma di enucleare quella perdita di coscienza critica, di responsabilità sociale, politica, etica che la stragrande maggioranza dei cittadini mostra ad ogni livello: dalle singole atomiche scelte quotidiane a quelle di prospettiva più estesa. Sul vero problema di cui fai menzione, riporto in estrema sintesi il mio punto di vista: il capitalismo è un sistema insostenibile e autodistruttivo, un sistema instabile che manca di un anello di retroazione negativa, che pertanto finirà per far collassare il pianeta, i suoi ospiti e di conseguenza se stesso; non ho certo tutti gli elementi per dire che ciò succederà tra 20, 30 o 100 anni ma credo che sia inevitabile se un cambio di paradigma non venga attuato nel breve termine (sperando di essere ancora in tempo). La miopia dilagante però mi fa essere abbastanza pessimista in tal senso.
Ho letto con ammirazione il tuo interessante articolo e ho apprezzato la tua elegante prosa. Complimenti! Condivido le tue preoccupazioni per il futuro del nostro pianeta e capisco la tua indignazione verso i mangiatori di carne che senza porsi alcun problema etico si ingozzano ghignando soddisfatti. Sul tema ho letto solo “Rivoluzione animale” di Peter Singer e per due anni sono passato sul fronte dei vegetariani. Poi il Sistema mi ha risucchiato: sono onnivoro ma con tanti sensi di colpa. Auguro a te e ai tuoi fratelli un sereno 2022.