Una grossa testa deforme, con un’espressione penosa e corrucciata, nata forse da antiche fucine di discendenza medievale, sormontava la villa neoclassica degli Scammacca, al centro di un largo frontone di un rosa confetto. Il portone centrale strideva coi suoi echi rococò, un arco merlettato e morbido, su cui si adagiava un volto di uomo-cane con occhi cadenti, dallo sguardo birichino e umile. L’anziano proprietario mi accoglie calorosamente, in veste da camera ricamata, e ai piedi un paio di scarpe dalla suola convessa, che mi hanno subito chiarito il perché, nell’avvicinarsi, procedesse con passo così incerto e basculante.
Mi sorride e mi stringe la mano: “Buongiorno! Prego, si accomodi. Quindi, da quanto tempo è che fa il giornalista per La Sicilia?”
Gli ricordo che non lavoro per quel giornale. “Ah no?!” mi dice con occhi inquisitori “E per chi lavora allora?!”. Gli mostro una copia di un quotidiano, lui lo prende di scatto, lo osserva a lungo, legge e rilegge la sigla, guarda le pubblicità, le notizie, lo rigira sul retro. “No canusciu. Cosa volete, quindi?”
“Si trattava di fare una breve intervista su Catania…”
“Si, ho capito, ma non vi conosco!” continuava a sciorinare con voce sempre più stridula, intervallata da quegli accenni di sorriso distorto che solo gli accessi di rabbia sanno produrre.
“Voi che avete in qualche modo fatto la storia di questa città…”
“La storia! Ora esageriamo!” il sorriso si ammorbidiva, avevo imboccato la strada giusta.
“… da quanto leggo – sa, sono un appassionato di storia – la vostra antica casata ha sicuramente posto le basi per molta storia antica e moderna, questo è evidente”.
“Comunque, io non vi conosco, facciamo presto che c’ho da fare!”
Di fronte a me si stagliava adesso lo stemma araldico. Il rosso dei leoni controrampanti mi colpì appena entrato, quasi ferendomi. I leoni, assisi sulle zampe posteriori alla sommità di tre colline dorate, si fronteggiavano come giocando, i due corpi si bilanciavano perfettamente, le zampe anteriori si toccavano in maniera leggiadra. Più che una lotta sembrava una danza sudamericana, sinuosa e ritmata, con passi decisi e fluenti un leone avanzava e l’altro retrocedeva, poi era la volta dell’altro farsi avanti e imporsi. Probabilmente i leoni si erano chiesti quale potesse essere il senso di quella lotta perigliosa sulle vette di terre di conquista e, saggiamente, avevano optato per soluzioni più morbide e diplomatiche, decidendo di convivere insieme su quel terreno e, per non togliere agli astanti il pathos della contesa, si davano quotidianamente a questa strana lotta danzata, o guerra giocata. Il surrogato dello scontro si palesava, con sguardo attento, per quello che era: un’opera buffa. E del resto, a scanso di equivoci, a guardarli bene i leoni si sorridevano teneramente l’uno con l’altro, forse per l’affare vantaggioso che avevano portato a termine.
“Vede, io sono una persona molto razionale, nelle cose che faccio, e anche molto trasparente. Quando mi hanno messo nelle varie commissioni, mi sono preso ogni responsabilità. Io tutto alla luce del sole ho sempre fatto. Chi ho sistemato ho sistemato, ma tutto fatto con regolarità. Ho pensato a tutti, io.”
“In che senso ‘ha sistemato’?”
“Ho dato una mano, si capisce, no?”
“E veniamo invece alle colline che i vostri leoni hanno conquistato.”
“Quali colline? Quali leoni? Ma di cchi sta parrannu?”
“Le colline di Picanello, ad esempio. Erano vostri feudi.”
“Si, per gran parte. Certo, c’era anche Bonajuto che era grosso.”
“Lei ha foraggiato quel processo di grossa edilizia che ha trasformato quelle abbandonate colline, nel quartiere densamente abitato che è oggi. Cosa ci dice di quella fase?”
“Intanto, capiamo di che stiamo parlando. Negli anni ’30 qua non c’era niente. Niente, capito? Ulivi, pecore, stirrazzu… Da qui a Ognina era tutta una calata, si vedeva il mare e le casette povere dei pescatori. Poi, grazie al mio aiuto siamo riusciti a dare una aggiustatina al quartiere, piano piano, e poi col dopoguerra è stato completato. Qua abbiamo risanato tutto quanto.”
“Del resto non a caso dicevo che ha – e avete – fatto la storia. E mi dica una cosa, come procedeva con le lottizzazioni?”
“Che vuol dire? Si lottizzava, lottizzava il Comune, che ero io che lottizzavo? Io vendevo solo le mie terre, ma era il Comune che capiva che queste aree andavano messe a nuovo.”
“Ma non ha in qualche modo dovuto tessere delle reti di contatto con chi era nelle amministrazioni? Purtroppo sappiamo tutti che non è facile farsi strada…”
“Giovanotto, ma dove vuole arrivare? Qui si tratta di gestire l’amministrazione, di risanare aree degradate… La buonanima del Commissario prefettizio Farina rilasciava continuamente delibere per manti stradali, costruzioni di nuove scuole, fognature, e quant’altro. Serviva spazio, la città doveva crescere e in fretta. E io gli ho dato questo spazio a nord che ci serviva.”
“Si lo capisco. Ma mi chiedevo se magari è stato necessario che qualcuno di voi si dovesse mettere in politica o allearsi con i poteri forti.”
“Forse non è chiara una cosa. Io non mi devo alleare coi poteri forti, come li chiama lei, perché il potere forte sono io. A tavola coi galantuomini mi ci sedevo io, e si poteva discutere di tutto” l’occhio sinistro si socchiudeva bieco mentre pronunciava quel ‘tutto’ dalla u stirata, come a dire ‘tutto tutto, ma proprio tutto, anche quello a cui lei sta pensando’. “E poi” continuava “i miei antenati sempre uomini di potere sono stati, anche prima dello Stato Italiano, già erano parlamentari e uomini acculturati. Abbiamo guidato questa città e l’abbiamo fatta più bella. Vede, per certe cose, occorre molto senso della responsabilità e della serietà. E io sono stato sempre molto serio in tutto quello che ho fatto. Oggi si pensa che tutti possono fare tutto, che l’impiegata alla cassa va a fare la presidente della Camera, Caio arriva e si apre cliniche private, Filano vuole fare il deputato. Per chi, come me, è abituato allo champagne non c’è rischio di ubriacarsi quando gli capita di poterne stappare una buona bottiglia. Ma per loro non può essere così. Il risultato di queste malversazioni l’abbiamo davanti agli occhi, è chiaro e lampante: guardate come si dividono tutto fra loro, come i cani si scannano!”
“Meglio mettersi d’accordo, invece.”
“Ma certo, la diplomazia è fondamentale. Guardi, questo clima di giustizialismo ha rovinato tutto. Alla gente cosa interessava chi gli dava pane? Niente. “Cu ti duna pani chiama papà” si diceva, ed è vero. Si è rovinata una terra, tanti posti di lavoro, ora sono tutti costretti ad emigrare”.
“Ma a chi si riferisce? Ai grossi imprenditori dell’edilizia?”
“A loro, ad altri, non ha importanza a chi mi riferisco!”
“Graci, Costanzo, Rendo… Pippo Fava c’è morto a causa loro.”
“Cu è Pippu Fava? Non lo conosco. E comunque qui si trattava di amministrare una terra che aveva bisogno di pane e lavoro, e case dignitose, come al nord. E qualcuno le doveva fare, giusto?”
“Senza dubbio. Barone, mi tolga una curiosità: si ricorda l’articolo 9?”
“No. L’articolo 9 di che cosa?”
“Della costituzione italiana. Riguarda la tutela del paesaggio.”
“Ma cchi mi nni futti do paesaggio. Lei non capisce che io parlo di pane, il pane è quello per cui a lei (ma anche a me, non pensi) gliela mettono nel didietro anche fra amici e parenti, con rispetto parlando. E lei mi parla del paesaggio…”
“La Convenzione Europea del Paesaggio, nel 2000, lo ha rimesso al centro dell’agenda politica. Paesaggio non è solo estetica, come può sembrare. Se trincerassimo Catania – solo per assurdo – con un muro e la isolassimo dal mare, lei sarebbe la stessa persona? Lo spazio in qualche modo ci trasforma.”
“Sbagliato, noi trasformiamo e dobbiamo trasformare lo spazio, a nostro uso e consumo.”
“Quando cammino fra queste vie, prendiamo a caso la via Napoli, ho ad esempio la strana sensazione che i palazzi mi stiano ingoiando e digerendo, tanto sono alti e vicini. Mi sorge sempre un dubbio..”
“Ancora di lottizzazioni mi parla lei? Allora mi sa che ci dobbiamo salutare. Io le parlo di gestione di una città. La vuole fare lei questa gestione? Lo vuole tutelare lei il paesaggio? Le persone vogliono case vere, se no stavano ancora nelle capanne o nelle grotte, se dovevamo tutelare il paesaggio.”
“…dicevo, mi sorge il dubbio che chi doveva misurare gli spazi fra un edificio e l’altro e il rapporto con le loro altezze si fosse distratto…”
“Ma quale distratto, quelle sono vie normalissime!”
“ Per non parlare della facilità con cui i terreni agricoli diventavano edificabili, e il conseguente lievitare dei loro prezzi. Il tutto con Piani regolatori molto sommari.”
“Illazioni. Niente di irregolare, semplici strategie per fronteggiare la crescita demografica e l’altissima immigrazione verso questa città a partenza dalle provincie meno fortunate, veda Enna, Caltanissetta, ma anche dal siracusano debbo dire. Poi se i piani regolatori non venivano rinnovati era anche perché era sempre difficile governare. Sa meglio di me che in Italia chi vince le elezioni non è mai libero di governare. Pazienza, purtroppo è così. Ma le regole sono comunque chiare, e bisogna attenersi.”
“Già, le regole sono molto chiare. Barone io la lascio e le auguro ogni bene per lei e la sua famiglia, so che un suo nipote sta seguendo la via della politica con successo.”
“Io la ringrazio, e la invito a passarmi a trovare quando vuole. Si, mio nipote si è messo in testa di fare il deputato. Che ci dico no? Io ci auguro ogni bene, che può girare pure con macchine di lusso o in motoscafo, se ne ha voglia, ma sempre senza dimenticare agli altri, a quelli senza lavoro o che hanno malattie, che io questo ho sempre cercato di insegnare, a rispettare tutti, anzi, a dare lavoro quando può anche agli altri. Perché alla fine, tutti davanti a lui dobbiamo andare.” E guardava in alto con il dito all’in su.
Riccardo Ricceri
Molto interessante! Hai qualche articolo per approfondire?
Grazie mille!
Diciamo che si tratta per gran parte di una storia sommersa e personalmente non ho articoli o fonti storiche precise che chiariscano l’argomento del racconto. Per gran parte si tratta di fonti orali (a mio avviso deboli per un resoconto storico, ma sufficienti per una narrazione) e osservazioni dirette.
Ho trovato molto utile la lettura della tesi di Francesco Mannino, un ragazzo che gestisce Officine Culturali, l’associazione che da qualche anno si occupa della manutenzione dei Benedettini. La trovi a questo link: http://dspace.unict.it/bitstream/10761/307/1/mannino_catania_retaggi_paesaggi.pdf
Altri spunti utili li ho trovati qui: http://www.sudpress.it/mafia-il-ruolo-di-guglielmo-scammacca-della-bruca/
In ogni caso, aldilà del preciso fatto storico, quello che mi premeva descrivere è un tratto psicologico dai contorni sfumati e grigi, un contesto in cui il bene e il male si confondono o, peggio, si alleano.
A presto,
Riccardo