L’undici gennaio 2015 probabilmente resterà bene impresso nella mia memoria per molto tempo. Raramente mi è capitato di vedere un fiume umano così denso come quello della marcia repubblicana a Parigi. Ma ancora adesso mi capita di ripensare che mentre fieramente mi trovavo a marciare, non riuscivo a non chiedermi per quale ragione mi trovassi lì.
La risposta che più frequentemente sembrava soddisfare i miei dubbi era “sono qui perché voglio che chiunque sia libero di dire ciò che ritiene” e in effetti il giorno dopo un sorriso è apparso sul mio viso quando ho visto di avere ragione. Ragione? Ma perché, sono davvero convinto che una tale libertà possa esistere? Si può lasciare chiunque libero di esprimere ciò che ritiene? Se no, perché? Qual è il limite?
L’indomani il comico Dieudonné (quello della quenelle) afferma:”Je suis Charlie Coulibaly”. Frase ambigua e per la quale è stato prontamente attaccato e messo sotto accusa. Al di là del “vero” significato della sua frase, la sua è o non è satira? Ovvero, possiamo accettare una frase del genere?
Per capire qual è il limite tra la satira accettabile e quella inaccettabile, potremmo utilizzare i concetti espressi da John Stuart Mill nel suo saggio On Liberty. Secondo lui, la libertà di esprimersi può avere due possibili effetti negativi: offesa e danno. Se navighiamo nel mare dell’offesa siamo liberi d’esprimerci, nel caso del danno la libertà viene meno.
L’offesa, infatti, provoca delle emozioni negative, disgusto e collera, ma non dei danni fisici concreti. Può essere originata da rappresentazioni scritte o visuali che causano nel peggiore dei casi crimini senza vittime (reali). Nel danno, invece, è implicita la possibilità di un danno fisico verso un individuo (non più astratto come nel caso dell’offesa). Dunque si può parlare di danno in seguito ad un diceria infondata che scalfisce la reputazione di un uomo. Data per buona questa definizione, mi chiedo: quale danno ha provocato Dieudonné? Non ha inveito contro nessuno, forse solo contro se stesso. In fin dei conti, forse non è così complicato dare un proprio significato ad un significante e trasformare un’offesa in un danno, come sembra affermare il primo ministro francese Manuel Valls inveendo contro il comico: «Il ne faut pas confondre la liberté d’opinion avec l’antisémitisme, le racisme, le négationnisme. Le racisme, l’antisémitisme, le négationnisme, l’apologie du terrorisme ne sont pas des opinions, ce sont des délits».
The thin line between offence and harm
The 11th of January 2015 will probably remain vivid on my mind for a long time. I seldom have seen what appeared to be, literally, a so dense river of people as for the “republican march“ in Paris. Thinking about it now, I have the mixed feelings of proudness (of being part of it), and doubts about the real reason I was part of it.
While there, I was saying to myself: “You are here to affirm the principle that everybody should be free to express her/his opinion”, although the day after I secretely smiled realizing how right I was. Was I? Do I really think freedom of speech should be granted to everyone? Can anyone be free to express an opinion? Where does the limit lay?
The day after, in fact, the french comedian Dieudonné (the one of quenelle) claimed: “Je suis Charlie Coulibaly”. Ambiguous statement for which he was attacked and indicted. Can his claim, beyond his “real” intention, be still considered satire? Can it be accepted by public opinion?
To better understand the limit of what is considered acceptable and what unacceptable, John Stuart Mill and his essay On Liberty could be of great help. According to him, freedom of speech can lead to two different consenquences: offence and harm. The limit not to cross is that from offence to harm.
Offence induces negative emotions, loathing and rage, but does not lead to any concrete physical harm. It can be caused by any written or visual representation, crimes with no real victims. In the concept of harm, instead, physical damage towards individuals is an actual possibility. For instance, unfounded rumors jeopardizing someone reputation can be considered harm. Accepting such a definition, what kind of harm did Dieudonné cause? He did not rail against anyone, maybe only against himself. It is, perhaps, not so difficult to give a meaning to a signifier and convert an offence to a harm, as it seems to affirm the french prime minister Manuel Valls, when he states: “We should not mistake freedom of speech for antisemitism, racism, negatonism. Antisemitism, racism, negatonism, apology of terrorism are not opinions, but pure crimes”.
Se la parola non avesse avuto il potere di arrecare – seppur indirettamente – un danno materiale, non sarebbe mai esistita la censura. La matita è un’arma reale, animata da sentimenti analoghi a quelli che spingono all’uso di spade o pistole (ira, sete di vendetta, odio).
Credo personalmente che il limite fra offesa e danno (quindi fra satira accettabile e non accettabile) – limite che muta di giorno in giorno coi cambiamenti sociali – dipenda esattamente dalla minaccia che la satira reca alla legittimità dei poteri. Oggi, in occidente, la satira può inveire apertamente contro i simboli (oramai vuote crisalidi) della religione cattolica, contro le facce cangianti (ma mica tanto) dei politici o contro le cariatidi dei mass media. Ma dove non può sperare di spingersi è nella minaccia alla credibilità del potere costituito (minacciando quindi la sua caduta, e quindi un futuro danno materiale).
Attaccare militarmente uno Stato può anche essere meno grave di certe affermazioni satiriche. Il nemico esterno, infatti, come diceva saggiamente Sallustio, rinsalda i legami comunitari come niente altro riesce a fare. Nel caso specifico, la frase di Dieudonné, pronunciata all’indomani dell’attacco terroristico, ha rappresentato una pericolosa voce fuori dal coro. La strategia delle potenze occidentali nei confronti degli atti terroristici è infatti quella dello sbandierare concetti-guida come “tolleranza”, “anti-razzismo” “anti-negazionismo”, “non violenza”, con lo scopo di ammantarsi di un candore che non si possiede, per nascondere ipocritamente che anche noi nutriamo le stesse mire delle società islamiche, e cioè imporre (con la forza) il nostro potere. Aver gettato ombra su questa strategia, in quel determinato momento, ha rappresentato un reale attacco all’establishment e alla sua credibilità.
Tempo fa notavo con un certo stupore come in diverse opere di Sofocle (emblematico a riguardo è il Prologo dell’Aiace) si descrivano delle divinità sanguinarie dalla crudeltà gratuita; spesso sono chiari i riferimenti alle responsabilità divine sui mali degli uomini. Resto stupefatto tanto più perché Sofocle godette di notevole fama tra i suoi contemporanei, nonostante le sue affermazioni potessero essere ritenute sacrileghe da buona parte della società. E mi stupisco tanto più se paragono la sua vita al trattamento che invece fu riservato a Socrate, messo a morte per affermazioni molto meno dissacratorie (almeno in apparenza).
Non riuscivo a capire come mai questa inaccettabile disparità: Socrate condannato alla cicuta, Sofocle ripagato con importanti cariche pubbliche, ricchezza, fama, gloria. La risposta che mi sono dato è che il grido “sacrilego” degli eroi sofoclei non smette mai di proclamare la modesta e rassegnata accettazione del potere costituito delle divinità (potere che da religioso diventa politico) e dell’impossibilità assoluta di raggiungerli. Socrate invece, pur non spingendosi nemmeno a discutere del comportamento o dell’esistenza degli dei, viene aspramente condannato dalla comunità. Probabilmente il motivo va ricercato nella sua immagine di uomo: un uomo che confida nella propria ragione per gestire la propria vita con le sue stesse mani, per conoscere il finito e l’infinito al pari di una divinità. Socrate fu di certo un non-violento, ma la minaccia che questo messaggio lanciava alle istituzioni era enorme, perché instillava negli animi l’idea che ciascuno possa essere artefice del proprio destino, screditando così il potere degli dei e, di conseguenza, delle istituzioni.
Senza dirlo apertamente, quindi, trasferì di fatto il potere dall’Olimpo agli uomini comuni, dando loro la possibilità concreta di svincolarsi dall’opprimente fatalismo, ammesso che ci fosse – e non c’era – la volontà collettiva di farlo.
come ha detto Gipi, la satira per essere tale deve andare solo in una direzione, dal basso verso l’alto, verso i potenti, il resto è fascismo…